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Le radici 
La scoperta 

La terapia con i gatti: 

La nevrosi sperimentale 
La cura

Lo sviluppo professionale

Il lungo viaggio:

 

 Le radici

Joseph Wolpe nacque il 20 aprile del 1915 a Johannesburg, una fiorente città dell'Unione del Sud Africa, stato formatosi da poco. I suoi nonni, Ebrei, vi erano emigrati agli inizi del Novecento dalla Lituania, regione che per secoli era stata un asilo per i rifugiati ebrei dei pogrom in Russia.Il Sud Africa era un vasto Paese pieno di conflitti etnici e religiosi, tanto virulenti quanto quelli in Europa dell'Est, da cui i Wolpe erano fuggiti. Gli "Afrikaners", discendenti dei colonizzatori olandesi del diciassettesimo secolo, avevano mantenuto un'economia basata sull'agricoltura di sfruttamento e sulla convinzione di essere per volontà divina destinati al dominio delle razze di colore. Il grande conflitto all'inizio del ventesimo secolo, comunque, non era tra bianchi e neri ma tra Afrikaners ed Inglesi, che avevano guadagnato l'egemonia sul Capo nel 1814. Gli Afrikaners, migrando verso Nord, verso le vaste pianure dell'interno, avevano lottato e resistito ai coloni e alle leggi inglesi, che abolivano la schiavitù a garantivano qualche diritto alla popolazione di colore. Durante la "Grande Migrazione", iniziata nel 1836, svilupparono anche capacità militari e caratteristiche di “leadership” che permisero loro di resistere sia alle ribellioni dei neri che ai tentativi di dominio del territorio degli Inglesi.
Tuttavia, la scoperta dei diamanti negli anni '60 del 1800 e dell'oro negli anni '80, portarono masse di immigrati nei loro territori ed accrebbero l'interesse degli Inglesi per l'area di residenza degli Afrikaners. Gli Inglesi iniziarono una guerra costosa, "la Guerra Boera", che, sebbene per loro vittoriosa, intensificò la coesione degli Afrikaners. Nel panorama politico successivo, con l'unione delle Colonie del Sud Africa nel 1910, gli Afrikaners mantennero una posizione di dominio, continuando la loro politica di predominio razziale. Negli anni precedenti la Grande Guerra sostennero la Germania: emblematica era la frase di un loro leader che avrebbe voluto uno stato epurato da "Inglesi, Negri ed Ebrei".
Johannesburg crebbe rapidamente e diventò una metropoli. I coloni inglesi fornirono i capitali e le competenze necessari per lo sviluppo dell'industria e del commercio, dominando l'economia, così come gli Afrikaners dominavano la politica. Seppure fossero più tolleranti degli Afrikaners, rimaneva nella maggior parte di loro, in particolar modo negli ambienti "aristocratici" della città,un antisemitismo di fondoLinks 
Questo era l'ambiente in cui Joseph Wolpe nacque nel 1915. Primogenito di un industrioso negoziante di libri, aveva due sorelle, Marian e Margery, ed un fratello, Harold. La tradizione culturale dei Litvak, così erano chiamati gli Ebrei provenienti dalla Lituania, che si distinguevano per la loro vivacità intellettuale ed emotiva, era particolarmente forte nella famiglia di sua madre, Sarah. Sebbene di origini più modeste, suo padre Michael aveva comunque un grande rispetto per l'educazione. Molti anni prima della nascita di Joseph, Michael aveva comprato il ponderoso "Webster's New International Dictionary" e un'enciclopedia in 25 volumi sulla storia mondiale per l'educazione dei suoi figli. Michael Wolpe aveva idee liberali che trasmise ai figli. Harold, di 10 anni più giovane di Joseph, diventò un noto attivista politico. Sociologo ed avvocato, difese i partecipanti al movimento anti-apartheid di Nelson Mandela, sopportando la prigionia ed una drammatica fuga in Inghilterra per poter continuare il suo lavoro. La religione formale era una prerogativa solo della nonna materna di Joseph, che visse con i Wolpe e dalla quale i ragazzi ereditarono una generica credenza in Dio, ma non la dottrina. Assimilata nella cultura inglese della borghesia di Johannesburg, la famiglia non sperimentò un antisemitismo crudo,ma non potè evitare la cultura classista e razzista che pervadeva la città.
Joseph era un avido lettore sin dalla prima età, preferendo a volte la compagnia dei libri a quella dei compagni di gioco. Talora arrivava persino tardi a scuola a causa delle letture mattutine e durante le vacanze era capace di leggere due libri al giorno. I genitori apprezzavano la sua precocità verbale e gli instillarono una grande fiducia nella sua abilità intellettuale. Si accorsero che aveva bisogno di occhiali durante il primo anno delle scuole elementari, ma spesso Joseph non li portava, perchè si sentiva ridicolo, piuttosto timido, si imbarazzava per la sfrontatezza della madre quando contrattava con i mercanti. Era bravo negli sport, in particolar modo nel calcio, che praticava coi ragazzi del vicinato.
Attratto dalle storie di avventure di una rivista per ragazzi, dalle immagini di eroi che vincevano in battaglia, decise di frequentare la "Parktown Boys' High School", che seguiva il modello inglese ed era molto distante da casa. Rifiutò la bicicletta che i suoi genitori gli promisero se avesse frequentato la scuola del quartiere ed, invece, attraversava la città ogni mattina con i mezzi pubblici. Le sue aspirazioni sportive come calciatore morirono il primo giorno alla scuola superiore, quando fu investito da una motocicletta che gli ruppe una gamba. Sebbene non potesse più partecipare alla squadra di calcio della scuola, rimase un grande appassionato ed un gran tifoso.
Le competizioni accademiche si dimostrarono essere il suo forte: ricevette numerosi premi in una grande varietà di discipline, tra cui latino, matematica e geografia. La sua bravura e la sua diligenza furono tali per cui fu il primo diplomato della sua classe, cosa che rinforzò ancora di più la sua autostima e l'orgoglio dei suoi familiari.
Durante le scuole superiori Joseph sviluppò particolare interesse per la chimica, materia che necessitava non soltanto di impegno nella lettura e nell’apprendimento, ma che richiedeva anche partecipazione attiva. Per effettuare esperimenti da solo approntò un laboratorio a casa propria, con materiali presi in prestito dai professori. La disciplina e la regolarità delle combinazioni chimiche e la possibilità di scoprire nuove relazioni erano per lui affascinanti: decise che sarebbe diventato un ricercatore chimico. Dal momento che per i suoi genitori, che erano pragmatici, si trattava di una professione dal futuro incerto, dopo discussioni familiari si giunse alla conclusione che Joseph avrebbe frequentato la Facoltà di Medicina, che gli avrebbe permesso un'attività "rispettabile" e, nel contempo, non gli avrebbe precluso la possibilità di fare della ricerca. Così all'età di 18 anni, si immatricolò all'Università di Witwatersrand: era un giovane timido, fiducioso delle sue capacità accademiche, ma riservato ed insicuro nelle relazioni interpersonali.

 

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 La scoperta
 

L'Università era un mondo nuovo per il giovane Joseph Wolpe, sia dal punto di vista sociale che intellettuale. Era la prima volta che viveva lontano da casa e dopo anni passati in scuole maschili trovò subito una fidanzata, una bella ragazza della classe a fianco alla sua. Si dedicò con tale impegno a  questa relazione che finì per essere bocciato al suo primo anno di Università. Poi la fiamma del nuovo amore si spense, ma il suo livello accademico non raggiunse mai quelli delle scuole superiori. Nonostante i suoi voti fossero piuttosto bassi, non perse comunque mai la fiducia nelle sue capacità e la convinzione che la sua conoscenza degli argomenti era maggiore di quella che riusciva a far emergere durante gli esami. Anche i suoi genitori continuarono a supportarlo come prima, nonostante i bassi voti.
In quegli anni la sua maggiore occupazione, a parte gli studi medici, era discutere di argomenti filosofici la sera con un gruppo di amici . Wolpe era particolarmente interessato all’epistemologia: lesse Kant e Hume. Più tardi si interessò a filosofi con una visione più empirica e positivista come Russell e North Whitehead. La difficoltà che Hume e Kant avevano nel conciliare i loro sistemi con i dogmi religiosi portò Wolpe ad abbandonare le sue vaghe idee religiose a favore di una visione totalmente materialistica.
Completati i suoi studi medici, Wolpe mantenne l'interesse a diverse specialità, particolarmente alla medicina interna, all'anestesia e all'immunologia. La psichiatria sembrava solo una possibilità remota. All’inizio vedeva le teorie di Freud come parte del curriculum, ma non esitava a considerarle "spazzatura", poi alcune esperienze lo portarono a cambiare opinione e ad un certo punto, dopo aver parlato con un amico che lo lasciò con un profondo senso di smarrimento e angoscia, pensò addirittura di essere schizofrenico. Solo dopo parecchie settimane questa paura si dissipò, ma rinforzò il suo interesse per i fenomeni psichiatrici. Come internista fu coinvolto nelle cura di una giovane donna con problemi psichiatrici. Ella gli aveva riferito un sogno nel quale stava nuotando verso un uomo su una spiaggia lontana che non riusciva mai a raggiungere. Wolpe interpretò questo sogno come il desiderio di incontrare un uomo come suo padre: glielo disse e dopo pochi istanti i sintomi della donna peggiorarono sensibilmente, cosa che Wolpe interpretò come il risultato delle sue difese contro una visione così intimistica. Questa esperienza lo portò a leggere Freud con sempre maggiore interesse e a registrare e analizzare i propri sogni.
Wolpe completò i suoi studi medici poco prima dell'inizio della Seconda Guerra Mondiale e si arruolò come medico dell'esercito. Nel 1942 fu assegnato all'ospedale militare di Kimberley, che ricevette numerosi casi di "nevrosi da guerra". Secondo Freud, le nevrosi erano il risultato di un ricordo represso di un'esperienza traumatica ed il trattamento raccomandato consisteva nell'utilizzo di infusioni di sodio penthotal, metodo molto più veloce della psicoanalisi. Nonostante qualche successo iniziale, i risultati sul lungo periodo furono disastrosi. Wolpe ricercò quindi un'alternativa alle teorie di Freud, il fatto che gli alleati russi non accettavano gli studi freudiani, lo portò ad interessarsi alle teorie dei disordini nevrotici di Pavlov.
Durante il periodo passato a Kimberley Wolpe era frequentatore assiduo e regolare di un gruppo di discussione formato da giovani medici il cui leader era Abe Eldestein. L'argomento principale erano le cause dei disturbi di comportamento. La possibilità che Pavlov potesse essere un'alternativa a Freud sembrava interessante, ma Wolpe era più impressionato dalla precisione del metodo di Pavlov che dalle sue teorie.
Dopo due anni Wolpe fu trasferito in un'altra base, ma il suo cammino verso la psichiatria sembrava ormai cosa certa. A Città del Capo nel 1945 visitò gli Eldestein, che vivevano lì. La moglie di Abe, Cynthia, si era iscritta ad un corso avanzato di psicologia alla Cape Town University e gli parlo di un suo professore, James G. Taylor, un esperto di condizionamento e apprendimento. Fu organizzato un incontro e Taylor, dopo aver sentito dell'interesse di Wolpe per Pavlov, gli consigliò la lettura della recente pubblicazione di Clarck Hull "Priciples of Behavior".
La teoria di Hull, con il suo rigore e la sua sistematicità, suscitò una profonda attrazione in Wolpe. Come Pavlov, anche Hull rinforzava l'idea che i principi applicabili al comportamento umano potevano essere sviluppati attraverso modelli animali: era l'inizio di una teoria alternativa a Freud.
Dopo il suo congedo dall'esercito nel 1946, Wolpe ritornò all'Università di Witwatersrand per ottenere una laurea alla Facoltà di Psichiatria. Verso la fine dell'anno arrivò in Università per un incarico Leo J. Reyna, che, della stessa età di Wolpe, aveva appena finito il suo dottorato e aveva studiato all'Università dello Iowa con Kenneth Spence, uno dei collaboratori di Hull. Fu così che Wolpe cominciò a seguire i seminari di Reyna e diventò parte di un gruppo di giovani studenti interessati alla teoria del condizionamento.
Wolpe cominciò a ricercare quale specie di animali potesse dare i migliori risultati e con quali tipi di procedure. Pavlov (1927) aveva descritto una varietà di metodi per generare nevrosi nei cani, ma riportando ampie differenze individuali nei risultati che non facevano propendere per nessuna procedura in particolare. I ricercatori della Cornell University avevano riportato buoni risultati con pecore e oche (Anderson e Liddell, 1935) ma si trattava di animali non facili da gestire dal punto di vista pratico. I topi erano i soggetti preferiti da Hull, ma c'era poco in letteratura che confermasse la capacità di provocare nevrosi nei topi. La soluzione fu trovata in "Behavior and Neurosis" di Masserman(1943). Masserman riportava la generazione di disturbi nevrotici nei comuni gatti domestici nel caso in cui venissero sottoposti a leggere scosse elettriche durante l'esposizione a del cibo.
Wolpe pagò di tasca propria la costruzione dell'equipaggiamento necessario,  iniziò i suoi esperimenti nel 1947 e meno di un anno dopo presentò il suo progetto finito (Wolpe, 1948).
Il 1948 fu un anno importante non solo nella vita professionale ma anche personale di Wolpe: in maggio si sposò con Stella Ettman, incontrata due anni prima ad una festa organizzata da Cynthia Eldestein. Si trattava di una donna forte ed indipendente; era stata cresciuta dal padre ed era diventata un'insegnante di scuola superiore, anche se, in seguito, lavorò come segretaria. Aiutò molto Wolpe nella stesura del suo lavoro, ma nei due anni della loro frequentazione si era sempre rifiutata di sposarlo. Wolpe allora, impaziente, organizzò un appuntamento con una sua vecchia fidanzata e stabilì con lei una data per il loro matrimonio, quando Stella ne fu informata disse a Wolpe di spezzare la promessa che aveva appena fatto, perché si doveva considerare già promesso a lei. Si sposarono due mesi dopo.

 

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La terapia con i gatti

 
 La nevrosi sperimentale

 
Il gatto grigio soriano si leccava con calma le zampe anteriori mentre stava appoggiato sulla grata di una piccola gabbia fatta di fili metallici. Si fermò ed alzò la testa al suono rauco di un clacson di automobile attaccato ad un lato della gabbia. L'aveva sentito molte volte prima ed era abituato ad esso.
Tuttavia, questa volta, appena il rumore cessò una breve scossa di corrente salì dalle sue zampe. Il gatto sobbalzò con un miagolio, il suo salto fu fermato dalla parete superiore della gabbia. L’animale allora si acquattò da un lato, con le orecchie tese, il pelo irto, gli artigli sfoderati, gli occhi spalancati e fissi. Un uomo occhialuto in un camice bianco da laboratorio lo guardava intensamente da un lato della gabbia. Poi alzò la mano dall'interruttore che controllava la corrente a bassa intensità per scrivere sul suo taccuino: "Prova 1: vocalizzazione, erezione del pelo, midriasi...". Dopo alcuni lunghi minuti il gatto si stirò e cominciò a muoversi nella gabbia. Il clacson suonò ancora. L'uomo in camice bianco vide il gatto raggelarsi, gli occhi spalancati, mentre spingeva la sue dita verso l'interruttore elettrico.
Dopo un paio di dozzine di suoni di clacson e scosse elettriche durante i due giorni successivi, il gatto ora si faceva piccolo all'arrivo dell'assistente ed opponeva strenua resistenza ad essere introdotto nella gabbia da esperimento. Non appena l’assistente richiudeva la gabbia e prendeva posizione vicino all'interruttore il gatto si accucciava in tensione in un angolo della gabbia, con occhi spalancati e orecchie tese. A questo punto qualcosa di nuovo venne aggiunto: nel mezzo della gabbia, a non più di 30 centimetri dal naso del gatto, furono posate a terra delle palline di manzo, ma sembrava che il gatto non le notasse neppure. La situazione continuò per due ore intere, il gatto quasi immobile, il giovane assistente che lo osservava con attenzione. Annotò "teso, acquattato, midriasi, rifiuto di mangiare...". Il giorno dopo fu lo stesso, nonostante il gatto non mangiasse ormai da 48 ore.
La prima parte dello scopo del giovane studioso era stata raggiunta: aveva provocato una reazione nevrotica nell'animale, come avrebbe fatto in seguito in dozzine di altri. Ora il suo scopo era quello di curarli.

 

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 La cura

 
Il grigio gatto soriano assunse la sua solita posizione acquattata nella gabbia da esperimento, ma, invece di ritirarsi in un lato della stanza, Wolpe lo raggiunse dentro la gabbia con una piccola spatola di legno e gli offrì un pezzo del manzo che era sul fondo. Aveva pensato che, dal momento che l'ansia inibiva l'azione del mangiare, allora il cibo poteva essere impiegato per superare l'ansia, un principio chiamato "inibizione reciproca". Ma l'animale non diede alcun risposta. Lo studioso si ritirò per qualche minuto e poi ci riprovò ancora. Il gatto diede un'occhiata alla carne davanti al suo naso, ma si ritrasse ancora. Wolpe persistette, ma così fece anche il gatto che, anche dopo molte prove, continuò a rifiutare di mangiare nella gabbia dove gli era stata somministrata la scossa elettrica.
Il giorno seguente, l'animale non fu messo nella gabbia da esperimento, ma fu lasciato sul pavimento del laboratorio e lì gli fu offerta la carne. Il gatto si ritirò in un angolo della stanza e si rifiutò di mangiare. Il giorno dopo, Wolpe lo portò in una stanza vicina. Dopo pochi minuti il gatto cominciò a muoversi intorno, ma ancora rifiutava la carne offertagli. Il giorno seguente lo portò in una stanza in un'altra parte dello stesso edificio e lo piazzò sul pavimento con i pezzettini di carne. Dopo aver esplorato con cautela la stanza, il gatto si avvicinò al cibo, lo odorò e velocemente ingoiò un boccone. Dopo qualche secondo ne mangiò un altro e poi un altro ancora. Il ricercatore si lasciò scappare un sospiro e sorrise mentre il gatto finiva di mangiare tutta la carne sul pavimento. La volta dopo mangiò nella stanza accanto a quella dell'esperimento e, le volte successive, prima vicino alla porta della stanza dell'esperimento e poi sempre più vicino alla gabbia, ed infine dentro di essa. Se ne erano andati gli occhi fissi e impauriti ed il tremore. Se ne era andata la riluttanza ad entrare nella gabbia.
Ma restava ancora una prova da compiere. Wolpe isolò il clacson, ottenendo un rumore molto basso e immediatamente fece cadere un pezzo di carne davanti al gatto. L'animale si accovacciò, impaurito. Wolpe guardò l'orologio alla parete: in meno di un minuto il gatto si mosse lentamente verso il cibo, lo mangiò e sembrò farsi calmo. La procedura fu ripetuta e la reazione dell'animale al suono del clacson fu sempre meno pronunciata. Nelle sessioni successive, Wolpe progressivamente aumentò la durata della prova fino che il gatto non mostrò segni di reazione ad un suono di 30 secondi, ma anzi si guardava attorno per il cibo che si aspettava. Era stato curato dalla sua nevrosi sperimentale.

 

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 Lo sviluppo professionale
 
wolpeDopo il completamento della sua tesi, Wolpe si sforzò di portare un contributo alla teoria sull'apprendimento di Hull e di guadagnare anche qualcosa da questa attività. Incoraggiato da Reyna, riadattò la sua tesi per un manoscritto intitolato "Condizionamento e Nevrosi", in cui rivide tutti gli esperimenti sella nevrosi sperimentale. Con un po' di ambizione spedì il manoscritto ad Hull stesso per una revisione e, sperava, per una raccomandazione per una pubblicazione. Hull, malato e impegnato dalla stesura del suo libro successivo, lo passò a Kenneth Spencer, ma questi disse che c'era poca possibilità di mercato per tale libro.
Tuttavia, l'anno seguente vennero pubblicati due libri che continuavano le teorie di Hull da parte di due suoi studenti, Neal Miller (1950) e O.H. Mowrer (1950). Questi si guadagnarono subito molta attenzione, dando un forte segnale sull’attualità e l’interesse per tale argomento. Probabilmente era stata colpa della scarsa esperienza di Wolpe come ricercatore, o della vaghezza delle sue affermazioni o forse solo il fatto che fosse uno sconosciuto che viveva dall'altra parte del globo, a far sì che non riuscisse ad essere il primo a pubblicare un'estrapolazione delle teorie di Hull sulle nevrosi. Ciò nonostante, né Miller né Mowrer svilupparono un programma di terapia che avesse l'impatto di quello di Wolpe.
Ancora determinato a seguire le teorie di Hull, Wolpe preparò una serie di documenti che presentavano una "visione neuropsicologica" di molti fenomeni di apprendimento. Wolpe propose di coprire lo spazio tra lo stimolo e la risposta con catene di connessioni sinaptiche facilitatorie ed inibitorie a diversa struttura organizzativa, che però, erano diagrammi basati più sulla logica che sulle strutture anatomiche. Pubblicati su "Psychological Review" (Wolpe, 1949, 1950, 192, 1953), gli articoli non ebbero grande impatto, ma rimangono una testimonianza della sua fedeltà alla visione deterministica.
Wolpe iniziò quindi la pratica psichiatrica in uno studio privato a Johannesburg, ma era la moglie, che, lavorando come segretaria a garantire la maggior parte delle entrate, dal momento che le idee indipendenti di Wolpe lo posero al di fuori dell'ambiente cittadino di psichiatri e medici. Egli si asteneva infatti dalla pratica tradizionale freudiana, deciso a sviluppare un proprio metodo, basato sulla sua idea che l'ansia fosse una risposta condizionata che poteva essere dissociata dallo stimolo che l'aveva provocata tramite l'evocazione di una risposta competitiva più intensa. Ebbe appuntamenti solo con pochi pazienti, mandati da Reyna o da amici personali della comunità medica e la terapia non fu per nulla soddisfacente. Ma con la stessa autostima che lo caratterizzava quando credeva di valere ben più di quanto i voti conseguiti all'Università potessero far pensare, galvanizzato dall'incoraggiamento della moglie Stella, passò due anni difficili forgiando la struttura base di un nuovo sistema di terapia.
Sebbene rifiutasse le teorie e i metodi di Freud e l'enfasi freudiana sui conflitti sessuali infantili che condizionerebbero il resto dell'esistenza, anche per Wolpe l'ansia era il fattore patologico primario. Che l'ansia potesse essere superata sembrava chiaro dai risultati ottenuti in laboratorio. La domanda era: come poteva questo processo essere trasportato nella realtà a molti parametri dei pazienti nevrotici? Direttamente dalla sua esperienza con i gatti, Wolpe considerava il cibo come un possibile strumento terapeutico. Abbandonò presto però questa linea, vista l'impraticabilità dell'accoppiamento ansia indotta e cibo.
Aveva in questo periodo come paziente un ragazzo che aveva paura dello sguardo degli sconosciuti. Quale emozione poteva essere usata da opporre a questa timida reazione che creava tanta paura? Forse ricordandosi del suo passato di studente secchione e timido, Wolpe pensò che un atteggiamento di sfida e di invettiva contro le situazioni che creano paura poteva essere utile al superamento dell'ansia. Così disse al giovane di recarsi alla biblioteca pubblica dove avrebbe trovato molti sconosciuti e di cercare di provare un sentimento di rabbia nei loro confronti e di immaginarsi di urlare tutta la sua carica emotiva contro di essi. Il ragazzo lo fece e disse di sentirsi molto meglio. Simili comportamenti furono compiuti da altri pazienti, sempre con esiti positivi.
Alla fine del 1949, prima che partisse per gli Stati Uniti, Reyna propose a Wolpe una recente pubblicazione, "Terapia del riflesso condizionato" di Andrei Salter. Salter era uno psicologo di New York e nel suo libro riportava in forma di vignette illustrate il suo uso di esercizi "eccitatori" in pazienti con una personalità eccessivamente "inibitoria". Wolpe utilizzò parte dei metodi di Salter nella sua pratica e a volte raccomandava la lettura di parti del libro ai suoi pazienti. Salter descriveva anche l'uso dei test di personalità come strumento diagnostico, Wolpe comprese il valore di tale affermazione e cominciò ad impiegarli non solo come procedura diagnostica, ma anche come indicatore di riuscita terapeutica.
Tuttavia fu subito chiaro a Wolpe che la metodologia proposta da Salter non era applicabile nei casi in cui l'ansia non fosse di tipo "sociale", cioè quando coinvolge situazioni e oggetti inanimati, non persone. Fu così che scoprì i lavori di Edmund Jacobson, medico e psicologo dell'Università di Chicago, che proponeva metodi di rilassamento in pazienti con vari disturbi come ticfobie e in generale ansia. Ben adattandosi alle teorie di Wolpe sulla reciproca inibizione, il rilassamento sembrava un ottimo inibitore dell'ansia. Lo propose ai suoi pazienti, pur trovando molte difficoltà da parte loro nel cercare il rilassamento prima o durante gli stati di ansia.
Per superare questi problemi Wolpe cominciò a sperimentare l'ipnosi tramite il metodo di induzione di Wolberg (1948). Questi concepiva l'ipnosi come un mezzo attraverso il quale la descrizione verbale del terapeuta di una situazione che provoca ansia poteva sostituirne l'evento scatenante, permettendo così di effettuare il trattamento durante l'episodio e nello studio stesso del terapeuta, oltre che di accertare la severità dell'episodio stesso. Ma Wolpe riteneva anche che l'ipnosi poteva essere utile nel migliorare lo stato di rilassamento e nel diminuire il tempo di allenamento al rilassamento. Egli accoppiò durante ipnosi una scena che provocasse una leggera ansia ed uno stato di rilassamento, trovando che il paziente rimaneva calmo. Propose poi una seconda ed un terza scena scatenanti ansia, sempre con il paziente in stato di calma. Così nacque la tecnica di "desensibilizzazione sistematica", nella quale ad un paziente profondamento rilassato veniva chiesto di immaginare scene che creano ansia ad un livello sempre più elevato, proprio come il gatto aveva mangiato durante suoni del clacson sempre più lunghi.
I primi anni '50, finalmente, restituirono a Wolpe i risultati dell'impegno e della perseveranza con cui aveva coltivato il suo metodo: l'efficacia delle sue procedure terapeutiche gli fecero guadagnare sempre maggiore fama e notorietà, soprattutto grazie ai successi riportati dagli stessi suoi pazienti. Molti di questi avevano alle spalle lunghe storie di trattamenti non soddisfacenti da parte di psicoanalisti che seguivano metodi più tradizionali.
Era ora evidente che Wolpe aveva sviluppato un nuovo metodo alternativo a quello di Freud e una pratica che spesso riusciva laddove la psicoanalisi aveva fallito. Egli condivise i suoi risultati con il resto della comunità scientifica mondiale attraverso numerose pubblicazioni che descrivevano la sua teoria, i metodi ed i risultati. Riportò una percentuale di successo attorno al 90%, coprendo un'ampia varietà di disordini nevrotici.
Nel 1955, all'età di 40 anni, Wolpe sembrava soddisfatto: aveva due figli, David, nato nel 1951, e Allan, nato nel 1954, il suo studio procedeva bene e si era assicurato un impegno part-time nell'Università dove aveva studiato. Aveva raggiunto una certa sicurezza finanziaria, era rispettato professionalmente e aveva la possibilità di esercitare sia la pratica che l’insegnamento. Ma altri orizzonti gli si stavano aprendo. Prima di partire per gli Stati Uniti Reyna gli aveva detto "tu sei troppo grande per il Sud Africa". E infatti dall'Università di Stanford fu chiamato per una borsa di studio per gli anni 1956-57. 

 

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 Il lungo viaggio
 

Una cinquantina di anni dopo che i suoi nonni erano giunti con i figli nella terra dell'oro e dei diamanti, cercando libertà ed opportunità, Wolpe, con Stella ed i figli, salpò per lo Stato d'Oro della California. Durante il viaggio passarono per Londra, la capitale dell'impero che aveva colonizzato entrambi i paesi e nei prossimi successiv dieci anni avrebbero dovuto cercare a lungo dove fissare la loro dimora, prima di stabilirsi definitivamente a Philadelphia, la città dove il concetto stesso di libertà era nato in America. Era destino che questo rivoluzionario della psicoterapia seguisse nelle sue peregrinazioni geografiche le orme delle grandi rivoluzioni politiche. 

 

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 Stanford, California
Il Centro di Studi Avanzati in Scienze Comportamentali, sulle colline dietro il campus della Stanford University, era il posto ideale per riflettere e produrre nuove idee. Ogni anno un gruppo di studiosi veniva invitato per incontrarsi, discutere, confrontarsi e seguire le proprie ispirazioni. Non era richiesto nessun risultato particolare e il supporto economico era di tutto rispetto. Anche la moglie ed i figli si erano innamorati del posto, del clima  e dell’ambiente sociale di Stanford. Wolpe afferrò al volo l'opportunità che Stanford gli stava offrendo e produsse un altro manoscritto che l'anno seguente fu pubblicato dalla "Stanford University Press": "La psicoterapia dell'inibizione reciproca" (1958). Sull'onda del nuovo successo cominciò a frequentare diverse Università degli Stati Uniti dove iniziò a tenere letture e seminari. Gli fu offerto un incarico all'Università della Virginia, ma rifiutò in attesa di vedere cosa gli avrebbe riservato il futuro. Ritornò a Johannesburg alla fine del 1957, dove riprese la pratica clinica e l'insegnamento.

 

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 Charlottesville, Virginia
Dopo la calda accoglienza che avevano avuto in California, la penuria di stimoli intellettuali, la provincialità, il razzismo che caratterizzavano gran parte degli ambienti cittadini di Johannesburg erano fin troppo chiari a Stella e Wolpe, che cominciarono a pensare seriamente di ritornare negli Stati Uniti. Ed infatti vi tornarono, precisamente a Charlottesville, nel 1960, dove Wolpe aveva ricevuto l'offerta di un incarico accademico.
Qui, in un Dipartimento di Psichiatria dominato dalla psicoanalisi, fu accolto con gentilezza ed educazione, lui, rappresentante del nuovo approccio comportamentale della psicoterapia. Aveva pochi incarichi specifici di insegnamento a parte la supervisione di alcuni studenti e questo gli permise di dedicare la maggior parte del suo tempo ai pazienti e alla scrittura, a seminari e a dimostrazioni accademiche del suo metodo ad un pubblico di accademici e di professionisti. Si unì con i suoi articoli al coro di polemiche riguardo la contrapposizione tra psicoanalisi e teorie comportamentali ed in tal modo non fece che isolarsi nella sua stessa università. Questa situazione, insieme alle idee, di fatto provinciali e razziste, della città, non molto diverse da quelle da cui era scappato da Johannesburg, gli fece realizzare che neanche Charottesville era la terra promessa.
Cominciò a cercare un altro posto che gli consentisse di esercitare la sua professione secondo il suo metodo. All'inizio la soluzione gli sembrò Londra, ma dopo un anno di soggiorno nella capitale britannica ritornò nel 1963 in Virginia, deluso che neanche a Londra ci fosse posto per le sue idee. A peggiorare le cose, quando tornò a Charlottesville scoprì che il dipartimento era ormai interamente controllato dall'orientamento psico-dinamico: il suo isolamento dai colleghi divenne totale, i suoi compiti accademici furono ridotti praticamente a zero. Aveva così molto tempo per la pratica clinica, per i discorsi, per scrivere e per cercare un nuovo impiego. Questi furono in ogni caso tra gli anni più produttivi in termini di produzione di articoli e manuali. Il suo desiderio era però quello di aprire una scuola di insegnamento del suo metodo, perchè aveva ricevuto molte richieste in tal senso da parte di laureati e psicologi praticanti.   Un primo tentativo fu "The June Insitute". Fu così che nel 1965 offrì il suo primo corso della durata di un mese sulle terapie comportamentali. Si presentarono più di una dozzina di partecipanti, provenienti dall'Europa, dall'America Latina e dagli Stati Uniti. Il corso fu organizzato con lezioni teoriche al mattino e sedute al pomeriggio in cui lui faceva da co-assistente ed i pazienti erano volontari. Passavano le serate in discussioni, mangiando i piatti che Stella e lo stesso Wolpe preparavano per tutti gli invitati. Questa piacevole esperienza non fece che rinforzare in Wolpe la volontà di trovare un luogo adatto per un suo programma di insegnamento.
Nel 1965, durante il Congresso dell'Associazione Americana di Psicologia, Wolpe incontrò R. Bruce Sloane, capo del Dipartimento di Psichiatria dell'Università di Temple, e Joel Elkes, dell'Ospedale Johns Hopkins di Baltimora: entrambi lo invitarono presso di loro.

 

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 Philadelphia, Pennsylvania
Wolpe si recò a Philadelphia per un colloquio alla Scuola di Medicina dell'Università di Temple. La Facoltà del Dipartimento di Psichiatria rifiutò la sua ammissione ma fu invitato a discutere un impiego presso la Facoltà di Scienze Comportamentali. Nonostante il suo rifiuto alla Facoltà di Psichiatria, che per altro non era il primo, Wolpe fu impressionato dal livello intellettuale di Temple e per questa ragione accettò l'incarico alla Facoltà di Scienze Comportamentali. Entro 6 mesi Slogane rivoluzionò il Dipartimento di Psichiatria e Wolpe ottenne anche lì un altro incarico, mantenendo quello che già aveva avuto 6 mesi prima. Con l'aiuto di Slogane un'Unità di Terapia Comportamentale fu aperta nel 1966.
Alla fine sembrava che il sogno di Wolpe si realizzasse. Nell'Unità di Terapia Comportamentale, Wolpe fece in modo che potesse lavorare anche Arnold Lazarus, uno studente di cui aveva seguito la tesi di dottorato quando ancora insegnava in Sud Africa e che lo aveva profondamente e piacevolmente impressionato. Eppure le cose non andarono come Wolpe si aspettava, visto che descrisse l'anno seguente l'arrivo di Lazarus come il peggiore della sua vita. Forse l'abitudine a porsi contro le affermazioni della Comunità scientifica o forse l'impossibilità di dividere il suo sogno con qualcun altro, fecero si che non si instaurasse mai una collaborazione tra i due. Si aspettava che Lazarus fosse un suo discepolo ed invece si trovò di fronte un uomo determinato che non solo non accettava in toto le sue teorie, ma proponeva anche una modifica del metodo. Dall'esterno la situazione era paragonata a quella creatasi tra Freud e Jung. Si verificarono situazioni spiacevoli e imbarazzanti, quando passavano in corridoio fianco a fianco senza neppure salutarsi. Fu così che nel 1970 Lazarus fu mandato via. Wolpe non era nella Commissione che prese la decisione, ma è indubbio che la condizionò profondamente.
Nonostante l'inizio burrascoso, l'Unità di Terapia Comportamentale ebbe successo. Il "June Insitute" continuò in estate per altri 15 anni con circa 30 persone partecipanti ogni anno. Wolpe, tuttavia, non riuscì ad approfittare del sistema nazionale di concessione delle Borse di Studio in favore dei suoi studenti, così che l'istituto rimaneva sempre alla mercè dei finanziatori che gli facevano i conti in tasca. Solo negli anni 70 finalmente l'Istituto potè fiorire grazie ai contributi generosi delle Istituzioni Federali.
Negli anni del successo dell'Istituto, Wolpe era sempre occupato a scrivere articoli e lezioni e tenere seminari sulle sue teorie. Che il pubblico fosse di 5 o 500 persone non era importante, Wolpe era sempre pronto a parlare a richiesta. Nel 1979 ricevette un premio dall'Associazione Americana di Psicologia per essersi distinto nei suoi studi e per aver contribuito alla modificazione dei comportamenti anormali. Dopo il suo apice nel 1980, l'istituto patì un declino. Le elezioni presidenziali del 1980 spostarono i fondi verso esigenze più impellenti del paese, sottraendoli al Dipartimento dell'Educazione e della cura delle malattie mentali. L'Istituto divenne sempre più dipendente dalle parcelle dei pazienti, che erano anche insufficienti alla sola attività didattica. Inoltre, nel 1982, Wolpe raggiunse l'età pensionabile obbligatoria di 67 anni: gli fu concesso di continuare come "eccezione", ma gli furono diminuiti stipendio e posizione.

 

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 Los Angeles, California
Alla fine fu Stella ad averla vinta dopo tutte le sue peregrinazioni al seguito del marito, avrebbe sempre voluto, dopo quella prima esperienza a Stanford, ritornare in California, dove vivevano entrambi e I loro figli: David, attore e scenografo, e Allen, medico.
Un'offerta dalla Pepperdine University gli consentì di continuare a scrivere: si trasferirono a Los Angeles nel 1988. Sfortunatamente Stella morì poco dopo il loro trasferimento, nel 1990: la morte della donna, sua compagna per più di 40 anni, che lo aveva aiutato, sostenuto e seguito gli fece perdere un poco dell'entusiasmo che aveva per le ricerche che aveva iniziato decenni prima, ma tuttavia continuò a scrivere articoli e a tenere conferenze fino ad un mese prima della sua morte. Un cancro ai polmoni lo uccise il 4 dicembre 1998 all'età di 83 anni.

 

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